E’ ipotizzabile un’Italia senza Ordini professionali?

Marina Calderone sul Sole 24 Ore del 29.12.2011 dal titolo “Gli Ordini? Una risorsa in un Paese disordinato” si domandava “è ipotizzabile un’Italia senza Ordini professionali?” e si rispondeva negativamente “considerando tutto ciò che gli oltre due milioni di iscritti garantiscono in termini di efficienza e di tutela dei diritti dei cittadini”.
Io credo, invece, che le uniche speranze di sopravvivenza per gli ordini sia legate alla loro capacità di far dimenticare quello che non sono riusciti a garantire non solo a cittadini e imprese ma neppure agli stessi iscritti. Essi, non hanno dimostrato alcuna volontà di contribuire allo sviluppo del Paese ma hanno preteso e pretendono di porsi come intermediari tra lo Stato ed il cittadino la cui asimmetria è servita, complice la politica, per sottrargli risorse per il decoro della categoria. Il Cup nega ogni difficoltà ad accedere alle professioni sventolando l’esorbitante numero degli iscritti e così tentando di distogliere l’attenzione dal problema reale. Il problema non è l’accesso all’Albo, anche se la gestione dell’esame affidato alla stessa categoria cui il candidato vuole accedere è assai discutibile, ma alla clientela.
L’iscrizione è solo una licenza di caccia del tutto inutile se poi viene ostacolata l’acquisizione di una clientela impedendo ai nuovi entrati di giocare sul prezzo, di far conoscere la propria attività e le proprie capacità e di aver accesso alle risorse per organizzare una struttura in grado di fornire un servizio efficiente.
L’affermazioni secondo cui il capitale limiterebbe l’autonomia del professionista è priva di ogni fondamento sia logico che giuridico e poteva essere spendibile solo con una classe politica “ricattata” attraverso il numero degli elettori che ogni categoria assumeva di poter portare al seggio ma non è neppure ipotizzabile con chi conosce ed approfondisce solo il profilo tecnico delle questioni. La presidente ben sa che per indirizzare una società non è necessario ricoprire cariche o disporre della maggioranza del capitale come sa che nessun imprenditore entra in un business se non vi intravede possibilità di guadagno.
Il corporativismo degli ordini emerge quando chiamano a raccolta gli iscritti-parlamentari e li invitano a far prevalere l’interesse della categoria su quelli della collettività. La quale, insieme al richiamo ai sacri valori della Costituzione che non c’entra affatto, è solo un pretesto per rivendicare un ruolo pubblico ed incamminarsi sulla via della statalizzazione.
La morte delle professioni è stata determinata dai vertici che spesso hanno anteposto le ambizioni personali al benessere della categoria e dalla politica che ha sempre somministrato la medicina voluta dal malato in cambio di sostegno elettorale e della canalizzazione del consenso.
Gli ordini, soprattutto quello forense, non sono riusciti a garantire la qualità delle prestazioni né a controllare la deontologia (nessuno è mai stato radiato per incompetenza), hanno praticato un certo servilismo nei confronti del sistema in cambio di onori e consulenze, hanno chiesto come favori le cose che avrebbe dovuto rivendicare come diritti, non hanno svolto una funzione di promozione delle classi sociali e non hanno messo la loro competenza a disposizione della società, pensando di potersi chiamare fuori, in nome di una presunta specificità, da ogni responsabilità del disastro in cui è precipitato il nostro “sistema giustizia”.
Spalmandosi come la nutella sui partiti, barattando la canalizzazione del consenso con qualche concessione legislativa ai danni dei cittadini, hanno svenduto il futuro ed anche ora, che sono costretti ad affrontare il merito dei problemi, si aggrappano alle vecchie logiche corporative.
Hanno perso il bue e, invece di cercare le corna, potrebbero cogliere l’occasione per liberarsi di quel ruolo pubblico che la Costituzione non gli attribuisce e di cui, senza alcun vantaggio, si sono appropriati. Rivendichino orgogliosamente il ruolo di associazioni a carattere privato e ad iscrizione volontaria prendendo le distanze dalla politica e ritagliandosi il ruolo di contropotere rispetto all’esecutivo. Eviteranno così di essere ritenuti beneficiari del mancato funzionamento della giustizia, riacquisteranno la fiducia dei cittadini e meriteranno la gratitudine dei giovani e del Paese.

 

Questa voce è stata pubblicata in IlCappio. Contrassegna il permalink.