L’Italia non può cambiare….a meno che…

Mario Monti, nel corso dell’audizione all’Europarlamento dell’1-9-1999, affermava “Gli Ordini possono avere ragioni di esistere, ma è importante che anche il mondo professionale senta il respiro del mercato unico e della concorrenza, che non potrà che favorire la crescente flessibilità delle economie degli Stati membri”. La dichiarazione dell’allora Commissario UE alla Concorrenza non esprimeva la posizione comunitaria, alla quale avremmo dovuto adeguarci. Da allora sono trascorsi più di 13 anni ma, né gli organismi politici hanno avuto il coraggio della leadership né gli organismi professionali hanno saputo cogliere l’occasione per farsi essi stessi promotori di una riforma in sintonia con i mutamenti introdotti nella società dalle nuove tecnologie e con le regole imposte dall’appartenenza all’Unione europea. Le quali, stabilivano la prevalenza del diritto comunitario sulle confliggenti disposizioni di diritto interno, l’obbligo di  aprire i mercati nazionali, per favorire l’integrazione economica voluta dal Trattato, e quello di leale collaborazione tra le istituzioni interne e quelle comunitarie. Ma, invece di far filtrare la necessità del cambiamento nella società e presso gli iscritti e di guidarlo, riscrivendo le regole per un’avvocatura al passo con i tempi, l’ordine forense ha preteso, con la forza dei numeri, il mantenimento dello status quo, da una classe politica trasformatasi in una cinghia di trasmissione di interessi particolari e sempre pronta a barattare i principi in merce da scambiare sul mercato delle convenienze. Così Monti, oggi Presidente del Consiglio, per far sentire quel “respiro del mercato” si trova tra un Parlamento che vota a larga maggioranza, e obtorto collo, le proposte del suo Esecutivo ed i parlamentari schierati a difesa delle categorie che la politica ha tanto fatto crescere da restarne schiacciata ed il cui potere il Governo si propone di ridimensionare.

La vicenda, ancora tutta da definire, della riforma forense è emblematica di cosa succede quando rendite di posizione, regole amministrative, intervento pubblico e “ricatto elettorale” si alimentano a vicenda rendendo inevitabile l’intervento unilaterale dello Stato a tutela della collettività. Ma lo Stato è rappresentato da un Governo “tecnico” e da un Parlamento tenuto in ostaggio dei partiti. I quali subiscono il ricatto delle categorie organizzate con le quali si accordano ai danni del cittadino.

Ma queste situazioni sono frequenti e destinate a ripetersi fino a quando non sarà modificato il modello di sviluppo che, premiando l’appartenenza, produce familismo e mafiosità. E’ questo il premier lo sa bene !

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