Liberare lo Stato da quelli che lo rappresentano
Il peso di migliaia di leggi e regolamenti, l’incapacità di garantire la sicurezza e l`ordine pubblico, una giustizia lenta e farraginosa, una burocrazia pletorica ed inefficiente, un fisco prepotente e confusionario, danno al cittadino la sgradevole sensazione di doversi difendere dallo Stato. Negli anni ‘80 Ronald Reagan, suggeriva “Non aspettatevi che lo Stato risolva i vostri problemi, perchè è proprio lo Stato il vero problema”. Ma Reagan si riferiva ad un’America in cui un attore o un venditore di noccioline poteva arrivare alla Presidenza non all’Italia dove Franklin sarebbe finito in galera per aver fatto volare un aquilone senza licenza.
Già ai primi del `900 un magistrato calabrese descriveva lo Stato “come un mostro lontano ed onnipotente cui bisogna piegarsi per necessità come ad una forza brutale, sempre pronta a venire incontro ai potenti, sempre tardo a difendere gli umili”. Luigi Sturzo oltre un secolo fa suggeriva, inascoltato, di “ridurre bolli, timbri, autorizzazioni che politici e burocrazia hanno inventato per accrescere il proprio potere”. Ma “meno Stato” è un`operazione politicamente difficile perché dietro ogni complicazione si annidano una pletora di faccendieri che vivono di politica e sulle spalle dei contribuenti. Come nel feudalesimo al vertice dello Stato ci sono gli eletti, i nuovi feudatari, al fondo gli esclusi ed al centro la borghesia (i protetti), la cui attività è dislocata nel punto in cui si incontrano politica, economia e società. La quale è un serbatoio di voti che, invece di agevolare il passagio alle classi superiori degli elementi migliori provenienti dalle classi inferiori, si è rifugiata nella rendita ed ha bloccato il processo osmotico e l’ascensore sociale. Come nel feudalesimo, chi è insediato al vertice si appropria delle risorse pubbliche per distribuirle, come fossero beni personali, ai vassalli ed ai vertici delle categorie, in proporzione al numero di elettori che ciascuna di esse è in grado di portare al seggio, che, a loro volta, applicano un’altra detrazione e distribuiscono a quelli che lo sostengono parte dei benefici ricevuti. Nessuno si cura di chi non può vantare un`appartenenza e “non ha un padrone”. Non si tratta, quindi, di avere più o meno Stato ma di avere uno Stato diverso che non funzioni secondo le regole dell`appartenenza che è l`anticamera del clientelismo, frutto delle deficienze strutturali dello Stato e delle diseguaglianze, Fare clientela significa voto di scambio, tra i politici ed i detentori di pacchetti di voti e nel voto di scambio c’è l’anello di congiunzione tra mafia e politica, saldate col collante della corruzione. Il mercato del lavoro pubblico e la distribuzione di carichi ed incarichi e degli incentivi alle imprese trovano il loro centro nei partiti e funzionano secondo le logiche dell’appartenenza (politica, nepotistica, amicale, ecc.). Mentre prima prevaleva un clientelismo assistenziale fatto di piccola corruzione, di favori, sussidi e di rendite di posizione con lo sviluppo dei partiti di massa, negli ultimi decenni sono nati comitati d’affari che, tagliando trasversalmente i partiti ed operando nell’interesse del gruppo di appartenenza, gestiscono montagne di soldi pubblici in cambio di voti. Per arginare il clientelismo sarebbe necessario incidere sul funzionamento dei partiti e sottrarre le nomine e la pubblica amministrazione all`influenza politica. Ma le riforme sono nelle mani di quelli che non hanno convenienza a farle. Nella Milano manzoniana del ‘600, il sistema era pietrificato e la gestione del potere non era molto diversa da quella dell’Italia del terzo millennio. Manzoni per sbloccarlo aveva fatto intervenire la Provvidenza e la scopa di Don Abbondio “È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che non ce ne liberavamo più”. E noi ?
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