Le corporazioni all’inizio provvedevano…e ora ?

Gli ordini professionali, nati per provvedere alle onoranze ed al culto dei membri defunti, solo più tardi sono diventati un organismo preposto alla tutela sia dell’interesse pubblico generale che di quello degli iscritti. All’accentuarsi dello statalismo e dell’esercizio di poteri delegati dallo Stato corrisponde una perdita di autonomia, l’isolamento dal contesto sociale, una riduzione dello spirito di appartenenza.  In tutti gli stati democratici queste corporazioni sono entrate in crisi anche perché “non è permesso a nessuno di suscitare nei cittadini un interesse intermedio e di allontanarli mediante lo spirito corporativo dalle faccende pubbliche”, mentre in Italia l’assenza di democrazia consente il persistere di un sistema in cui tutte le attività per essere svolte sono assoggettate a proroghe e deroghe.

Ancora oggi, dopo aver “imposto” alle forze politiche una controriforma, l’avvocatura chiede l’esplicito riconoscimento di un ruolo costituzionale che la metterebbe ancor di più sotto il tallone dell’esecutivo accentuandone la dipendenza. Così l’avvocato, invece di essere il difensore  dei diritti civili dei cittadini ed un baluardo contro lo strapotere dell’esecutivo diventa uno strumento che consente alla politica di interferire anche nel settore economico delle professioni e di garantirsi l’aggregazione preventiva delle opinioni.  Il problema se gli ordini debbano essere uno strumento privatistico, espressione dell’autonomia della società civile dal potere politico, o uno strumento speciale del potere statale non è nuovo e viene da lontano. Mentre Zanardelli sosteneva che la legge (del 1874) aveva attribuito maggior potere ed autorità all’ordine forense ponendolo sotto la tutela e la sorveglianza dello Stato, Carrara riteneva quella legge improvvida e illiberale in quanto, per la difesa della libertà civile era necessario “contrapporre alla forza del potere esecutivo la ragione di una libera associazione svincolata da rapporti con il governo”. Ma gli avvocati continuano pervicacemente ad inseguire il passato ed hanno ormai da tempo imboccato una strada senza vie d’uscita che li condanna all’isolamento; lottano per la sopravvivenza senza neppure il conforto del profitto che potrebbe, quanto meno, lenire il dolore per l’immagine negativa. Forse gli ordini, suicidandosi vogliono tornare alle funzioni originarie: provvedere alle onoranze dell’avvocatura che fu e col rimpianto di quello che avrebbe potuto essere.

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