Quali sono i compiti e le spese degli ordini ?

In Italia le categorie continuano a svilupparsi senza alcun collegamento con i problemi del Paese sotto la protezione di uno Stato, ormai diventato la cinghia di trasmissione degli interessi particolari delle minoranze organizzate. Nel tempo gli ordini sono diventati sempre più autoreferenziali, svincolandosi dall’ordinamento generale e ampliando a dismisura le proprie competenze tanto da condizionare le scelte legislative. All’inizio, ai Consigli dell’ordine era attribuito il potere di stabilire, «entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese del loro funzionamento, una tassa annuale per l’iscrizione nel Registro, ed una per il rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari»: una sorta di sistema fiscale obbligatorio parallelo, ma molto più efficace, di quello dello Stato. Il quale ben presto delegava alle stesse corporazioni il compito di accertare, attraverso l’esame, il possesso dei requisiti per l’esercizio, che la Costituzione gli aveva affidato. Le «competenze istituzionali, loro affidate nell’interesse della collettività a che la professione fosse esercitata correttamente», e solo di riflesso, nell’interesse dei professionisti, si limitavano alla tenuta degli Albi, alla funzione disciplinare, alla redazione e proposta delle tariffe, ed alla liquidazione dei compensi.

La fragilità politica ha progressivamente incrementato il ruolo ed i poteri di queste corporazioni che ormai gestiscono, in nome e per conto dello Stato ed in regime di monopolio, intere aree dell’economia: dal patrocinio a spese dello Stato alla formazione degli iscritti, dall’accertamento dei requisiti per l’accesso e la permanenza nell’albo alla consulenza legale mentre con la minaccia della sanzione disciplinare, più rapida ed efficace del giudizio ordinario, impediscono ai giovani di sfruttare le opportunità offerte da un mercato in espansione. Ormai gli ordini, soprattutto quelli di grandi dimensioni, al riparo dell’interesse pubblico generale al quale non sono affatto interessati, hanno bilanci nell’ordine del milione di euro (Il Congresso Nazionale Forense di Genova è costato circa 2 milioni 800mila euro), operano in modo imprenditoriale, pur rifiutando la contiguità con l’impresa e dispongono dell’arma legislativa che il Parlamento “vende” facilmente in cambio del consenso. Le spese “strettamente necessarie” si sono incrementate parallelamente alle prerogative compiti che la politica ha concesso per conquistarsene la benevolenza così oggi investono per migliorare la logistica, stipulano convenzioni, accedono ai fondi pubblici (ad esempio il progetto in convenzione con la Regione Piemonte “Donne vittime di violenze e condotte antidiscriminatorie”), partecipano ai consigli giudiziari, istituiscono Fondazioni con scopi più o meno culturali, costituiscono società di capitali per gestire attività commerciale non di competenza istituzionale del Consiglio o gli aspetti commerciali connessi a funzioni istituzionali. Ovviamente, in un’attività tutta giocata su influenze e relazioni i vertici, preoccupandosi di mantenere la posizione e di valorizzare sé stessi, distribuiscono cariche ed incarichi ai loro famigli, clonando il pernicioso sistema politico. Così, mentre non viene assunta alcuna iniziativa per alleviare il disagio dei giovani, ingenti risorse vengono utilizzate per trasferte istituzionali, necrologie, consulenze, difese di ufficio, partecipazioni ad organismi internazionali, contributi ad enti ed associazioni, convegni, congressi e “passerelle” varie.

Inoltre la recente riforma, istituendo i consigli di disciplina territoriale, le specializzazioni e la formazione continua, apre nuove opportunità di business. E allora..

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