Qual’è il peggior nemico dei politicanti ? La meritocrazia. L’unico vero ostacolo alla nomina di parenti, amici e portatori di borse e di voti nei nodi strategici delle amministrazioni ed ai vertici delle società pubbliche. La riforma della scuola approvata dal CdiM del 18 settembre 2023 e gli aumenti salariali concessi ai docenti indicano come i cd “eletti” continuino a bordeggiare senza mai affrontare i problemi, somministrando aspirine ad un malato terminale. La scuola non funziona ma il legislatore cambia il calendario scolastico e l’orario delle lezioni, interviene sull’edilizia scolastica ed offre agli studenti alloggi a prezzi calmierati senza agire sulla qualità e sui contenuti dell’insegnamento e sulla governance dell’istruzione. La crisi della scuola viene da lontano. Da quando il Ministero che la gestiva era un intangibile feudo della Dc che lo usava come serbatoio di voti e come base di consenso in cui far convergere assunzioni clientelari. Oggi, come allora, la scuola è costruita in funzione di chi ci lavora dentro, l’insegnamento é un posto fisso imperdibile, senza alcun rischio di licenziamento e di carriera e senza alcun incentivo salariale mentre gli studenti sono solo il pretesto che consente al meccanismo di funzionare. L’enfatizzata reintroduzione del voto in condotta ed il renderlo determinante ai fini della promozione, non restituisce, per legge, ai docenti rispetto ed autorevolezza. Il cuore di una riforma seria sarebbe la separazione della didattica dalla gestione delle risorse e la valutazione dell’operato dei docenti affidata a terzi e non ai colleghi del soggetto da valutare. Invece, tutte le riforme si arenano davanti ai parametri di misurazione della virtuosità dei comportamenti e sulla composizione delle commissioni di valutazione. Infatti, il Comitato di Valutazione, l’organo che dovrebbe valutare l’operato dei docenti misurando la qualità dell’insegnamento è composto da: 1 Dirigente scolastico (membro di diritto), che lo presiede, lo convoca ed il cui voto prevale in caso di parità; da 3 docenti; da 1 rappresentante dei genitori e 1 degli studenti (scelti dal Consiglio di Istituto) e da un componente esterno individuato dall’Ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici: 4 dei 7 componenti sono docenti e gli altri tre sono scelti dal Collegio d’Istituto e non raggiungono neppure il numero per chiedere la convocazione del Comitato e per rendere valide le sedute. I membri “laici” non contano nulla e gli insegnati sono giudicati dai colleghi. Ma senza un meccanismo automatico di premi e sanzioni e senza parametri di selezione dei docenti tutte le riforme diventano inutili elucubrazioni legislative. Se un insegnante non ha alcun incentivo salariale o di carriera e non affronta alcun rischio di licenziamento non farà nulla per aggiornarsi e migliorare il suo lavoro. Chi dirige l’istituto decide quale sia la qualità del servizio e contestualmente decide se lui stesso è capace o meno. Stefania Giannini, Ministro dell’Istruzione nel Governo Renzi mentre sosteneva la necessità di “premiare i più capaci e punire chi non garantiva un livello minimo di qualità” nominava 360 dirigenti scolastici usando la consueta, ampia discrezionalità ministeriale. Il perverso meccanismo di gestione dell’istruzione scolastica consente alla politica, di mantenere, attraverso più o meno qualificati pretoriani che devono alla sua benevolenza la nomine, il suo potere clientelare che le consente di passare periodicamente “all’incasso elettorale”. Il dirigente scolastico è un docente che assicura la gestione delle istituzioni scolastiche, coordina ed organizza l’attività scolastica è titolare delle relazioni sindacali, rappresenta legalmente l’istituto e gestisce le risorse finanziarie. Che sarebbe meglio affidare ad un Consiglio d’Amministrazione, espressione delle famiglie e della società civile, che agisce con spirito imprenditoriale. Se il sistema è questo non si può certo criticare chi evita la scuola per entrare nella vita vera e chi si trasferisce all’estero. Ma l’introduzione della meritocrazia rappresenterebbe l’unico limite alla discrezionalità politica per cui appare legittimo sospettare che favorire la fuga dei cervelli faccia parte di un’astuta strategia per spianare ai peggiori la strada verso il successo.
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