Il Duce si serviva delle corporazioni, la Meloni le serve

4.723 notai si spartiscono il mercato delle compravendite immobiliari, 17.472 farmacie (1 ogni 3.045 abitanti), impediscono l’apertura di nuovi esercizi, ostacolano la vendita dei prodotti fuori dai loro locali e rivendicano il diritto di gestire la salute degli abitanti di una fetta di territorio, 14.625 edicole, distribuiscono in regime di monopolio l`informazione cartacea e 50.000 tabaccherie hanno il monopolio della vendita delle sigarette su cui uno Stato ipocrita scrive “Possono nuocere alla salute”. Questa è l’Italia delle corporazioni

in cui 60 milioni di italiani, sono tenuti in ostaggio da 40.000 tassisti e da 15.414 balneari, mentre il Parlamento approva all`unanimità la legge sull`equo compenso ai professionisti ma non riesce a far passare il salario minimo per i lavoratori. Mussolini, per garantire l’ordinato svolgimento della vita civile, aveva inquadrato la società in categorie gerarchizzandola per poterla controllare dall`alto ma, per governare, non aveva bisogno del consenso che, in democrazia, costituisce il fondamento della legittimazione. Il voto, quindi, beatifica, santifica, attribuisce l`impunitá  e può, perfino, rendere “onorevole” un imbecille. Il Parlamento, quindi, è al servizio dei portatori di consenso e del blocco di voti che lo elegge e che si sposta da un partito all’altro. Siamo passati da uno Stato di diritto ad uno Stato in cui la caccia al voto supera ogni limite anche quello della decenza. Il consenso, comunque ottenuto, assume un valore assoluto e chi lo ottiene può legiferare senza limiti, legalizzare l’illegalità e, perfino, con un decreto, nominare un indagato per mafia nel comitato di gestione dei beni confiscati ai mafiosi. “Il popolo vota ma il meccanismo elettorale è costruito in modo da confermare invariabilmente l’oligarchia”. I primi arrivati, hanno attaccato l’etichetta “Repubblica democratica” al defunto regime, lasciando inalterata la struttura sociale. Ogni corporazione, quindi, presidia l’accesso al lavoro, distribuisce le qualifiche ed esercita la giurisdizione sui propri iscritti in modo non diverso dalla corporazione dei calzaiuoli nella Firenze del `500: un pastore per ogni gregge.  Ogni gruppo pesa in proporzione al numero di elettori che porta al seggio ed al suo interno il potere del singolo varia secondo gli interessi di cui è portatore o i “legami” di cui dispone. L`eletto, per garantirsi la rielezione, compra il consenso trasferendo parte delle risorse pubbliche di cui riesce ad appropriarsi, ai portatori di voti, i quali si comportano in modo analogo, distribuendo parte di quanto ricevuto a quelli che li sostengono, alla faccia di chi sta fuori dal recinto. Le corporazioni sono tanto cresciute da aver rovesciato la piramide per cui la politica che avrebbe dovuto costituire il vertice, è schiacciata dal peso delle categorie. Se gli interessi organizzati, ancorchè minoritari, prevalgono su quelli generali muore lo stato di diritto che si fonda sui diritti individuali. L’Italia è, quindi, una pseudo democrazia nella quale il potere del Parlamento, teoricamente assoluto, deve fare i conti con troppe oligarchie, con i poteri locali e con una magistratura amministrativa, che può esercitare sugli atti un diritto di veto.  L’alta burocrazia difende i suoi privilegi, gli imprenditori si rifugiano negli aiuti di Stato, i professionisti pretendono di operare con i vantaggi dell’impresa ma senza i rischi connessi.  Per governare questo intreccio di poteri e privilegi, al Parlamento resta solo il potere legislativo col quale minaccia, blandisce, distribuisce favori e compra consenso esercitando un ricatto legalizzato. Chi dispone di risorse e posti di lavoro può comprare anche il voto. La politica, quindi, sopravvive come sponda per gli affari e non la forza ed il coraggio di scrollarsi di dosso il ricatto delle corporazioni. Manzoni, per dare un lieto fine al suo romanzo, ha dovuto far ricorso alla provvidenza ed alla peste …

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