Perché gli avvocati sono così tanti ? Dov’era l’avvocatura quando il numero degli iscritti cresceva a dismisura e fuori controllo ? Si godeva il momento magico in cui una classe politica, senza spina dorsale e senza idee ma con l’arma legislativa in pugno, assecondava le richieste della categoria in proporzione al numero degli elettori che questa era in grado di portare al seggio: la crescita numerica era funzionale al mantenimento dello status quo.
Mentre il mondo cambiava profondamente, i nostri rappresentanti, si crogiolavano nella specificità e confidavano nell’asimmetria al riparo di quelle barriere che il tempo ha trasformato in ostacoli. Sono gli stessi rappresentanti, o la loro protesi, che oggi si propongono di tirar fuori la professione dal pantano in cui l’hanno cacciata. Il giochetto, però, sembra finito e il medico, senza più l’ansia di attirare clienti, non applica più le terapie volute dal malato e può somministrargli le medicine adatte a farlo guarire. A scrivere la parola fine non è stato il governo Monti ma la tecnologia che ha sottratto l’economia al controllo statale. Al quale, invece, i professionisti sono rimasti legati per via di quel ruolo pubblico che offre, ma solo ai presidenti degli ordini, i simboli del potere senza dare, però, alcun vantaggio agli iscritti.
Come un bambino capriccioso, l’avvocatura si chiude dentro, dicendo no a tutto nella speranza che possa essere assecondato il suo desiderio di suicidarsi in pace. Nonostante l’Unione europea assimili l’esercizio professionale all’attività d’impresa e l’ordine, in quanto ente rappresentativo di imprese, ad un’associazione di categoria, assoggettato quindi alle regole antitrust, l’avvocatura italiana difende il suo presunto ruolo pubblico che la fa percepire come complice del mancato funzionamento della giustizia e le impedisce, come previsto nel Preambolo del Codice deontologico degli avvocati europei approvato nel 1988, “di tutelare i diritti dei cittadini nei confronti dello Stato e degli altri poteri”. Al grido “i diritti vengono prima del mercato” e col pretesto di garantire il diritto dei cittadini il presidente del Cnf, senza tener conto del contesto globale, suona la carica portando un esercito di 240.000 iscritti alla sconfitta.
Ma con la caduta delle tariffe e del divieto del patto di quota lite l’avvocato, assumendo un’obbligazione di risultato, e non di mezzi, è costretto a modellare la sua identità professionale più sul mercato che sul servizio pubblico, per cui è crollato il pilastro su cui si è retta, fin’ora, la costruzione ordinistica. La tecnologia ha rivoluzionato anche la professione forense e non occorre una grande intelligenza per comprendere quali siano le linee di tendenza dell’evoluzione ne una grande lungimiranza per rendersi conto che, caduto il vincolo della contiguità, la consulenza legale, viene da tempo erogata attraverso il web; sono, quindi, controproducenti oltre che inutili i vincoli parrocchiali che si pretende di imporre. Paradossalmente l’avvocato, per non morire di diritti, deve accettare le regole del mercato e prendere atto che i giovani sono sempre più interessati al guadagno e sempre meno allo status. Il professionista, quindi, deve poter disporre, oltre alla competenza giuridica, di capacità imprenditoriali e di risorse economiche, senza le quali può essere indotto ad essere ossequioso, meno etico ed a vendere la sua indipendenza; l’unica cosa di cui potrà fare, certamente, a meno sono gli ordini che, così congegnati, gli legano le mani e gli tarpano le ali.