L’avv. Franzo Grande Stevens e il prof. Guido Alpa in rapida successione hanno sostenuto sul Sole24Ore (rispettivamente, il 23.11.2011 in “L’indipendenza dell’avvocato non ha prezzo” e il 10.12.2011 in “Gli albi non si aboliscono con un regolamento“) che l’indipendenza, l’autonomia e la riservatezza dell’avvocato sarebbero compromesse se nelle società per l’esercizio della professione forense fosse consentito ai soci investitori di detenere la maggioranza del capitale.
I due illustri giuristi avrebbero meglio impiegato la loro raffinata capacità espositiva ed il loro prestigio personale se avessero affrontato gli autentici problemi dell’avvocatura: la presenza degli avvocati nei Consigli di Amministrazione in cui, in rappresentanza del cliente, suggerendo come muoversi nella giungla legislativa, corrono il rischio di trasformarsi da consigliere in consigliori.
Operando per o nell’ambito di una società, a prescindere da chi detenga le quote o di chi ricopra le cariche sociali, l’avvocato non rischia di perdere la sua “virtù” poiché è ben nota la differenza tra il reperimento delle risorse, la promozione dell’attività e la gestione del profilo economico e l’esecuzione dell’incarico, che deve necessariamente essere svolto da una persona fisica in possesso dei requisiti per eseguirlo. Solo l’esecutore materiale della prestazione è tenuto alla riservatezza perché solo lui ottiene la confessione dei peccati e, senza il pentimento ma in cambio del pagamento di una parcella, aiuta il cliente ad aggirare la legislazione terrena. L’avvocato, quindi, è una “professionalità presa a nolo” dal cliente che gli si rivolge per risolvere un problema, senza alcun interesse o volontà di condizionarne le scelte. La sua autonomia attiene alla scelta che ritiene più rispondente agli interessi del proprio rappresentato nella conduzione del processo e tale scelta e tanto più insindacabile quanto più il professionista opera in un contesto che gli garantisca l’indipendenza economica e non lo costringa ad essere “ossequioso” nei confronti del cliente e del potere politico.
Chi investe in una impresa giuridica lo fa per trarne un profitto e non ha, ne interesse ne diritto, ad invadere la sfera di riservatezza dell’iscritto o a minarne l’indipendenza. Se volesse indirizzare l’attività della persona giuridica o percepirne i frutti non avrebbe bisogno di possedere partecipazioni o di ricoprire cariche sociali come gli avvocati ben sanno. Se l’autonomia e l’indipendenza potessero essere, messe in discussione dalla forza economica se ne dovrebbe dedurre che la posizione socio economica del cliente limita l’autonomia di chi lo assiste e che, quindi, i cd avvocati d’affari sarebbero lavoratori dipendenti.
Ma come può rivendicare l’indipendenza e l’autonomia degli iscritti un ordine preposto alla tutela di un albo che annovera al suo interno avvocati legati da un rapporto d’impiego e che svolgono la loro attività per fini imposti da terzi ? Non c’è alcuna risposta logica e coerente. Gli ordini che dovrebbero libere associazioni espressione dell’autonomia della società civile dal potere politico, poste a difesa dei cittadini e contro lo strapotere dei partiti saranno “zavorre” fin quando la politica si farà col pallottoliere. Se questo Governo ha gli interessi del Paese più a cuore della sua sopravvivenza deve applicare le terapie necessarie non quelle volute dal malato o da chi sul malato ci campa. Solo così, anche se non riesce a cambiare le cose salverà, almeno, la faccia.