Albi riforma senza abolizione

Il Sole24Ore del 30 novembre u.s. in un articolo firmato da Laura Cavestri affrontava il tema della riforma degli Ordini professionali considerando la possibilità di ridurre il numero degli ordini sulla base dell’effettivo interesse pubblico. E qui il caso di rammentare che un tentativo in tal senso è già fallito per l’elasticità del termine e per l’assenza di un parametro per definire cosa debba intendersi per “interesse pubblico”. Il quale fu allora interpretato in modo tale non solo da consentire la sopravvivenza degli ordini esistenti ma da offrire, addirittura, la possibilità di costituirne altri.

Purtroppo, non si considera mai che ad ogni introito di un iscritto all’albo corrisponde un esborso di cittadini ed imprese. In questa ottica si comprende come le corporazioni difendano i propri privilegi anche a scapito di quella collettività che, secondo l’attuale normativa, dovrebbero tutelare. Allora è evidente che agli Ordini vada tolto quel ruolo e quella connotazione pubblica che, offre all’iscritto la possibilità di “taglieggiare” l’utenza in cambio di una sudditanza nei confronti della politica. Sarebbe, invece, il momento di ritornare all’associazionismo libero, spazzato via dal fascismo, per rivendicare l’autonomia e l’indipendenza dalla politica e ristabilire un nuovo patto con la società.

Gli attuali componenti dell’esecutivo ben conoscono questi problemi e saprebbero anche dare le giuste risposte; ora, però, devono decidere se correre il rischio di cadere per una buona causa o galleggiare senza infamìa e senza lode. Devono, comunque, spiegare come si concilia il diritto del cittadino di comprare con facilità un’aspirina con la pretesa dei farmacisti di mantenere il numero chiuso e la pianta organica.

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