Fin dove il Parlamento seguirà il pifferaio magico ?

Lo stesso parlamento che non ha trovato il tempo di varare il riordino delle province, di ridurre il numero dei parlamentari, di varare la legge elettorale, quella attuativa dell’art. 49 della Costituzione per definire la natura giuridica dei partiti, quella sulle misure alternative al carcere e quella sul divorzio breve, di convertire il decreto sulla trasparenza degli atti pubblici e dei bilanci, di introdurre il divieto di affidare incarichi nell’amministrazione e nelle imprese pubbliche a politici o a condannati per reati contro lo Stato è riuscito, invece, in tempi rapidissimi ad approvare la riforma forense. La cui urgenza era rappresentata solo dal numero di iscritti che la categoria era in grado di portare al seggio. Hanno votato disciplinatamente 54 fiducie a Monti, ma non appena si è avuta la sensazione che il vento cambiasse lo hanno brutalmente scaricato.  Perché dovremmo,                                                                    ora, credere che gli stessi parlamentari, già sedotti dai 247.000 iscritti all’albo forense, siano stati tanto folgorati sulla via di Rebibbia da essere pronti a sostituire l’accordo con le categorie, che gli ha finora garantito la canalizzazione del consenso, all’interesse generale ? Se ciò avvenisse sarebbe rivoluzionario, ma i primi segnali non sono incoraggianti. Il primo provvedimento dell’esecutivo attribuisce 1.000 euro in più a chi ha già un reddito ed una lobby a difenderne gli interessi mentre un miglior segnale sarebbe arrivato se si fosse dato qualcosa a chi non ha niente. Come, ad esempio, ai giovani la cui emarginazione è legata alla loro non appartenenza. Renzi parla, e lo lasciano parlare, ma i provvedimenti, alla fine, devono passare al vaglio dei parlamentari che sono intrappolati in una ragnatela corporativa alla quale devono rendere conto. E allora ? Inutile attendersi riforme strutturali. Se l’operazione Renzi riesce c’è da aspettarsi un miglioramento ma non la guarigione del malato.

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