Albi e Deontologia

Esistono ancora Stati in cui  ogni categoria si fa le sue leggi, dispone, per applicarle, di una giurisdizione speciale ed esegue le sanzioni ? Ebbene sì e non si trova nel cuore dell’Africa ma in quello del Mediterraneo! Lo Stato italiano

affida all’ordine, attraverso la deontologia, la gestione dell’Albo e della vita sociale, familiare e lavorativa dell’iscritto. Il quale è indotto ad adeguarsi più alla legge della corporazione che a quella statale: la quale lascia correre tanto “come nella mafia, gli iscritti si uccidono tra loro”.

Mentre Guido Alpa e Marina Calderone rispettivamente presidente del Cnf, e del Cup nel marzo 2012 affermavano che “le tariffe non esistono più perché abolite nel 2006”, dalle «lenzuolate» (decreto 223/2006 convertito con legge 248/2006) di Bersani, alcuni professionisti sono stati sanzionati per aver violato norme abrogate da un’espressa previsione legislativa. Infatti, il codice deontologico dell’avvocatura, modificato per recepire l’abolizione dei minimi tariffari e del divieto di pattuizione del compenso ha, in violazione della legge, introdotto il correttivo della proporzionalità, tra remunerazione e attività svolta, la cui determinazione è demandata agli ordini.

Così nel 2009 il Consiglio dell’Ordine di Trani, sanzionava un avvocato per aver pattuito con il proprio assistito, in aggiunta al compenso previsto, un supplemento di compenso” e sempre nel 2009 il Consiglio dell’Ordine di Brescia censurava due avvocati per aver aperto uno studio legale a Milano con una suggestiva denominazione (A.L.T.)  Il Consiglio Nazionale Forense, rigettava i ricorsi ritenendo sussistere la lesione del decoro e della dignità della professione da parte degli incolpati. Non restava, quindi, che la Cassazione. La quale a Sezioni Unite con sentenza n. 21585 del 19 ottobre 2011 nel primo caso e n. 23287 del 18.11.2010 nel secondo (il testo integrale in Leggi & Sentenze), rammentava che “la fattispecie di illecito disciplinare definita mediante concetti giuridici indeterminati attribuisce all’organo decidente uno spazio di libera valutazione ed un margine di apprezzamento sottratto al controllo della Cassazione. La quale non può censurare nel merito le decisioni degli ordini forensi ne violare il perimetro di applicazione della norma preposta alla tutela del decoro e della dignità professionale”: la legislazione domestica prevale su una legge dello Stato ! La denuncia del mancato adeguamento dei codici deontologici alla normativa da parte dell’Antitrust produceva alcuna conseguenza pratica per cui i “custodi della legalità” continuano a vivere in una bolla al di fuori e al di sopra dalle regole. Ma, in uno stato democratico, contano più i diritti ed i doveri di cittadinanza di ciascuno o le rispettive appartenenze ?

Questi codici di autodisciplina, che sostituiscono il primato del diritto ed il principio di legalità, invece di avere ad oggetto esclusivamente i profili etici connessi al corretto espletamento della professione, tracimano, indebitamente, nei comportamenti economici degli iscritti limitandone la libertà di iniziativa economica. Non è sufficiente, quindi, separare le attività di gestione degli albi da quelle di verifica disciplinare ma è necessario chiarire il rapporto tra legislazione statale e deontologia e stabilire i limiti entro i quali quest’ultima può e debba operare. La confusione tra i due ambiti, unita alla maggiore rapidità della giustizia domestica, rafforza la dipendenza dal clan e allenta il legame con l’interesse pubblico generale e questo un Governo che voglia essere autorevole non può consentirlo !

 

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