Il prof. Guido Alpa, che da anni guida l’avvocatura italiana con lo sguardo fisso sullo specchietto retrovisore, in un’intervista al Sole24Ore del 14.01 c.a. dopo aver ricordato l’avvenuta abolizione delle tariffe minime, ha affermato che esse consentono di misurare l’affidabilità del professionista e prevede “ora che scompare ogni riferimento alle tariffe emergerà un mercato più confuso, classista e dannoso per i cittadini”.La loro cancellazione, anche come vaghi parametri di riferimento crediamo sia anche dovuta agli ostacoli che l’avvocatura ha posto alla legge 248/2006 facendo rientrare le abrogate tariffe dalla finestra del codice deontologico e usando la nozione generale di “decoro della professione” come parametro per la determinazione del compenso. Il decoro, anche se può rappresentare un interesse per la categoria non ha, certamente alcuna rilevanza per l’interesse pubblico generale. Inoltre, dovrebbe essere chiaro che la potestà deontologica deve operare entro i limiti della salvaguardia della qualità delle prestazioni e non può tracimare nell’aspetto economico e nell’entità del compenso, la cui adeguatezza all’importanza dell’opera non è devoluta alla competenza degli Ordini. I quali, però, dispongono del processo disciplinare, deterrente molto più incisivo della legge ordinaria, i cui effetti sono immediati e pregiudicano l’attività professionale ed i rapporti con la clientela. Infatti, il procedimento disciplinare, avviato discrezionalmente e deciso esclusivamente dallo stesso Ordine di appartenenza dell’iscritto, può concludersi con la radiazione mentre la Cassazione “non può «sindacare l’apprezzamento della rilevanza del fatto assunto nel capo di imputazione”. Inoltre, la decisione viene assunta in tempi rapidi e rapidamente eseguita al contrario di quanto avviene per la giustizia ordinaria, induce l’iscritto a violare la legge pur di sottrarsi ai rigori della deontologia. Il legislatore, quindi, non può limitarsi ad eliminare le tariffe ma dovrà anche stabilire i limiti entro cui deve operare il codice di autodisciplina. Ma il presidente del Cnf evoca con nostalgia la riforma forense, affondata con la nave sulla quale era stata festeggiata l’approvazione in Senato e finge di non sapere che le tariffe sono inique (impongono prezzi uguali per prestazioni qualitativamente diverse), applicate solo ai più deboli, impediscono ai giovani di acquisire una clientela, fanno percepire l’avvocato come beneficiario dell’inefficienza della giustizia e disincentivano il professionista dall’aggiornarsi. Per sostenerle, ricorda che la Corte di giustizia europea ne ha sancito la legittimità ma non ricorda che, nel farlo, la stessa Corte nella stessa decisione ha precisato “gli Ordini agiscono a fini privati, cioè nell’interesse dei propri iscritti”: allora, se le sentenze bisogna leggerle tutte, emerge che gli Ordini sono associazioni di categoria prive di quel ruolo pubblico che, invece, rivendicano. Sono queste oblique interpretazioni, questi tentativi di sfuggire alla realtà, questo far credere che crollerà il mondo se qualche privilegio sarà cancellato, cui una classe politica assetata di voti era costretta a credere, a far ritenere che lo scambio consenso / assenso potesse durare in eterno.
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