Dopo i tanti giornalisti che, tenendo famiglia, si trasformano in zelanti portavoce di notizie provenienti da fonti ordinistiche, ed enfatizzano il ruolo svolto dall’avvocatura a vantaggio della collettività, nella trasmissione televisiva Porta a Porta, andata in onda il 24 ottobre scorso, Bruno Vespa ha rotto la tradizionale omertà che circonda l’ordine forense. A proposito della decisione con la quale la Consulta aveva poche ore prima dichiarato l’incostituzionalità della mediazione obbligatoria, il conduttore ha affermato “la mediazione obbligatoria serviva ed era già servita l’anno scorso a far scendere i processi civili. Ne abbiamo, credo, tredici milioni tra penali e civili in Italia: è stata dichiarata incostituzionale e non ne farete un’altra perché gli avvocati ve lo impediranno”. E proseguiva “Gli avvocati guadagnano sulla lunghezza dei processi. Io ho risolto una causa con la mediazione in due sedute mentre se avessi fatto causa sarebbe durata 10 anni, ma in Parlamento c’è la lobby degli avvocati. Non si può andare avanti con le lobby degli avvocati, dei notai, dei giornalisti, dei farmacisti…”. In Italia, invero, ogni categoria cura il suo orticello ed sollecita gli iscritti a far prevalere l’interesse del clan di appartenenza su quello generale. Infatti, secondo l’Unioncamere nel primo anno dall’introduzione dell’obbligatorietà di questo strumento circa 15 casi al giorno si erano conclusi con un accordo davanti ad un mediatore in 56 giorni contro i 1.032 delle procedure normali; il costo che i cittadini hanno sostenuto per risolvere queste cause è stato pari al 3,5% del valore della controversia, a fronte del 30% che sarebbe stato necessario se avessero seguito le vie ordinarie. Sempre secondo l’Unioncamere, il risparmio generato da una conciliazione, peraltro non ancora a regime, è stato di oltre 123 milioni. La lettura di questi dati indurrebbe a ritenere che questo strumento avrebbe potuto, decongestionare il contenzioso, facendo funzionare meglio quella giustizia nella quale gli avvocati assumono di svolgere un ruolo fondamentale. La classe forense, invece, esultando nell’apprendere la decisione della Consulta che, con il suo ricorso aveva provocato, ha reso evidente che la categoria è attenta solo all’aspetto economico della professione e che il cittadino è, oltre che un pretesto, una vittima cui sono imposti per legge adempimenti utili solo a giustificare una parcella. Peraltro, la difesa delle tariffe e la loro formulazione possono far ragionevolmente ritenere che l’avvocato tragga vantaggio dalle lungaggini giudiziarie. Quel «ve lo impediranno», rivolto non solo agli ospiti, chiarisce come l’intera classe politica, pur detenendo l’arma legislativa, sia ostaggio delle categorie che garantiscono la canalizzazione del consenso e non tuteli l’interesse generale ma quello delle minoranze organizzate, con buona pace del suffragio universale. La rappresentanza dell’avvocatura ha preannunciato azioni giudiziarie nei confronti del conduttore ma, certamente, si asterrà da ogni iniziativa per non correre il rischio di essere sommersa da una valanga di risate quando dovrà spiegare: quali benefici traggano il Paese, i cittadini, le imprese ed i giovani dall’esistenza dell’ordine forense; come possono dichiararsi estranei a tutto quello che avviene in un’aula di giustizia; perché un Paese che dovrebbe esportare avvocati importa consulenza legale; se meno dell’1% degli avvocati, e in presenza dell’obbligatorietà dell’iscrizione, possano rappresentare l’intera categoria. Da avvocato che non condivide l’arroccamento degli ordini, e siamo tanti, non posso che rallegrarmi per le affermazioni di Vespa ed augurarmi che possano spingere altri giornalisti a darsi quel coraggio che, fino ad oggi, non hanno dimostrato.
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