“La fede in Dio è il primo sintomo della saggezza, la fiducia nei politici l’ultimo”

Per uscire dal feudalesimo è necessario spezzare la ragnatela corporativa, il modello di sviluppo, fondato sulla fiducia nell’intervento statale, e la perversa logica secondo cui il dialogo tra politica e cittadini avviene solo attraverso il filtro delle corporazioni che prontamente presidiano ogni nuova attività che nasce per rispondere alla domanda del mercato. Queste corporazioni, si chiamino ordini o associazioni riconosciute, in cambio dell’aggregazione preventiva delle opinioni, ottengono dallo Stato il monopolio della gestione dei rispettivi settori di attività e la tutela degli individui. Mediando tra questi e lo Stato, sottraggono risorse ai primi senza offrire vantaggi al secondo.

Tali organismi, che la politica ha costruito per farne una base di consenso, sono diventati tanto forti da aver rovesciato la piramide, per cui la politica – che della piramide dovrebbe costituire il vertice – pur continuando a detenere l’arma legislativa, è “schiacciata” dal peso delle categorie, ciascuna delle quali, per “fare da sgabello” pretende le siano assegnate sempre nuovi e più vasti privilegi. Man mano che il numero delle categorie aumenta si riducono gli spazi di libertà dell’individuo e ad ogni ulteriore privativa concessa le maglie del cerchio diventano più strette e meno permeabili al ricambio d’aria. L’accordo con i gruppi di potere, sostituendo il suffragio universale e l’interesse generale, è diventato uno strumento di tutela dei privilegi delle minoranze organizzate. Ma quando la legittimazione a governare scaturisce dall’assenso delle categorie e non dal consenso elettorale, concertazione e corporativismo coincidono scadendo in un consociativismo che “imprigiona gli attori in un sistema di veti incrociati” e consente il perpetuarsi degli assetti di potere.  Ogni gruppo cerca di accaparrarsi la maggior quota possibile di sovranità per gestirla “a vantaggio della propria consorteria, degli amici e degli amici degli amici” ai danni della collettività e della competitività.

Mentre il mondo è profondamente cambiato il Paese, «continua a viaggiare in una metropolitana sotterranea aspettando che qualcuno trovi il coraggio di liberare le vie d’uscita ostruite dal corporativismo», ricollocando al centro l’individuo e ripristinando la distinzione tra pubblico e privato. Il momento è propizio ma non sarà certo la vecchia classe politica, alla ricerca di una ciambella di salvataggio ed in odore di riciclo, ad attuare il cambiamento ne larga parte della burocrazia, alla prima legata da vincoli di riconoscenza se non di affetto. “La fede in Dio è il primo sintomo della saggezza, la fiducia nei politici l’ultimo” sosteneva il Cardinale Rivarol, ci resta la speranza di un Mosè che porti le tavole della legge, abbia l’autorevolezza di farle rispettare e non si affezioni tanto al potere da transigere sulle scelte di fondo.

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