Con il disegno di legge sulla concorrenza, presentato il 20 febbraio 2015 il Governo cerca di superare l’ansia da consenso e la paura di non farcela ricorrendo al viagra al medicinale, cioè, che rappresenta larga parte del fatturato dei farmaci di fascia “C”. Per spartirsi il quale, che ha giro d’affari è di oltre 3,2 miliardi di euro, si combatte da anni la guerra tra farmacie e parafarmacie. Come avevano fatto prima di lui Bersani, nel 2006, e Monti, nel 2012, anche Renzi ha dovuto arrendersi davanti alle solide mura delle farmacie tradizionali, legiferando sulla base della l mercato e le farmacie continuano a mantenere l’esclusiva della vendita di questa tipologia di farmaci. I quali sono di largo consumo, prescritti con ricetta bianca, non mutuabili, pagati cash direttamente dal cittadini e non soggette ai lentissimi rimborsi del Servizio Sanitario Nazionale. Il pretesto, per giustificare una scelta clientelare, è il cittadino che forse sarebbe più protetto se fosse restituita ai farmacisti l’esclusiva della vendita dei profilattici. Invero, il testo del Ddl è stato redatto con la testa nell’urna e per assecondare la potente lobby farmaceutica. Come di consueto, il governo sposta il fatturato, migliorando o peggiorando le condizioni di vita di una categoria ai danni dell’altra, senza tenere in alcun conto gli utenti, a beneficio dei quali un mercato concorrenziale dovrebbe operare. Infatti, i farmacisti che lavorano nelle parafarmacie e nei corner della grande distribuzione sono laureati ed iscritti all’albo come i loro colleghi delle farmacie tradizionali. La cui situazione è emblematica di come l’accordo tra politica e categorie, infischiandosene dell’interesse generale, possa stritolare il cittadino col pretesto di difenderlo. Nonostante il farmacista si limiti, ormai, a consegnare al cliente i medicinali prescritti nella ricetta, verificando, come un qualsiasi alimentarista, che il prodotto non sia scaduto, il settore è ingessato come ai tempi degli antichi speziali che raccoglievano erbe e preparavano medicamenti. I titolari di farmacia, inoltre, operano, attraverso una convenzione, come punti vendita fornendo gratuitamente ai portatori di ricetta i medicinali al cui pagamento provvederà la Regione. La quale acquista i medicinali con uno sconto medio del 55% e li concede alle farmacie riconoscendo loro un aggio del 12% calcolato non sul prezzo d’acquisto ma sul prezzo pieno. Quindi, l’onere è della Regione e i farmacisti percepiscono gli utili senza correre alcun rischi. Un marchingegno creato nell’interesse dei cittadini. Comunque, ai farmacisti sono concessi altri due privilegi feudali: la griglia protettiva sul territorio, la cd. pianta organica, e la trasmissibilità in linea dinastica della licenza. La prima è uno strumento che, vincola l’apertura di farmacie al numero dei residenti ai danni degli utenti, che vorrebbero l’apertura del maggior numero di esercizi possibile. Niente da fare. Lo Stato si sostituisce al mercato nel decidere il numero di esercizi necessari. La seconda consente agli eredi del farmacista deceduto un lasso di tempo, che il Governo Monti ha ridotto a trenta mesi, per vendere la farmacia nel caso non avessero i requisiti per gestirla. Ma la Presidente di Federfarma, senza rendersi conto che si tratta di attività svolte in concessione e senza tema di cadere nel ridicolo, afferma convinta “Io penso che qualsiasi attività possa passare di padre in figlio. Avviene così per qualsiasi impresa”. Purtroppo, non c’è nulla di più pericoloso di un potere legislativo usato come arma impropria nelle mani di chi risponde solo a se stesso.
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