Con un tasso di disoccupazione giovanile che supera la soglia del 43% è audace, se non rischioso, sostenere che l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro. Sarebbe, forse, più appropriato definirla fondata sulle professioni che si sono alleate col potere politico per vivacchiare di rendita. Così sono cresciuti i mestieranti della politica, veri e propri croupier di questo grande casinò chiamato Italia. Forse, però, il lavoro cui la Carta fa riferimento è solo quello svolto dagli addetti alla produzione e dai dipendenti pubblici, come dimostrerebbero tutti i provvedimenti, compreso il jobs act, e le battaglie che i sindacati affermano di sostenere a difesa delle loro ragioni. Gli iscritti in albi professionali, invece, sono esclusi, da ogni tutela e, spesso, sono, addirittura, costretti a difendersi dagli organismi preposti a tutelarli. Siamo il Paese con gli ordini professionali più forti a tutela dei professionisti più screditati e con i redditi più bassi. Anche se l’Europa non è d’accordo, il nostro legislatore, continua a ritenere le professioni un mondo a sé che vive sull’equivoco tra la tutela degli interessi pubblici della collettività e quelli privati degli iscritti. All’assimilazione dei professionisti ai tagliatori di cedole hanno contribuito il costante rifiuto del rischio imprenditoriale e delle regole del mercato e l’affidamento, in regime di monopolio, agli iscritti in albi, di determinate attività che hanno trasformato il reddito in rendita. I prestatori d’opera intellettuale, quindi, rivendicano, senza alcun vantaggio, un ruolo di mediatori tra opposti interessi per garantirsi, comunque, il pagamento di una parcella sostenendo che la loro attività consiste nell’affittare, in cambio del pagamento di un compenso, il contenuto, non sempre eccellente, della loro scatola cranica. Così, nessuno si scandalizza se i praticanti non percepiscano alcun compenso nonostante operino in un rapporto di subordinazione e gli iscritti siano privi di qualsiasi tutela anche nei confronti dei loro rappresentanti. I quali possono, discrezionalmente, inibire l’accesso o espellere dal mondo del lavoro, chi ritengono non sia in possesso dei requisiti per svolgere l’attività senza che il discriminato possa, come tutti i comuni mortali, agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.). Ma conviene davvero ai professionisti rivendicare una specificità che li isola dal mercato e dalle sue potenziali fonti di lavoro ? Non sarebbe più proficuo affrancarsi dalla politica ed orientare al mercato la propria attività ? La politica, dopo aver sfruttato per anni la middle class facendone l’architrave del suo potere, l’ha abbandonata per sposare le ragioni del capitalismo, ma gli ordini, restano fedeli ed accucciati ai piedi di una politica che, assecondandoli, li ha portati al disastro
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