Le mani sulla pizza

C‘era una volta la pizza. Poi arrivò la politica a spiegarci che non era mai esistita perché il pizzaiolo è “un lavoratore fantasma privo di titoli giuridicamente efficaci dal punto di vista professionale”: un’eccellenza del Paese, che crea un business annuo di oltre un miliardo di euro non esiste per mancanza del bollo pubblico! Nel tentativo di mettere le mani su tutto ciò che può produrre denaro e clientele il ceto politico ha partorito la geniale idea di istituire un nuovo albo: quello dei pizzaioli.

È, infatti, in discussione al Senato un Ddl (n. 2280 del 2016) che prevede la necessità dell’iscrizione all’albo ed il pagamento di una tassa per impastare acqua, farina e lievito. Il meccanismo riproduce quello degli ordini professionali e segue il principio di imbracare ogni attività in una corrispondente figura giuridica, creando la casta della pizza.  La proposta, su cui convergono tutti i partiti (ad eccezione del Movimento  5 Stelle) è figlia di una concezione “organicistica” della società costruita su gabbie associative sovrapposte che, con il sostegno dei pubblici poteri, imprigionano l’esercente. Il quale resta stritolato dall’accordo tra la politica ed i rappresentanti della sua categoria. Alla faccia del divieto dell’Antitrust di istituire nuovi ordini e della tanto enfatizzata democrazia diretta si creano  ulteriori corpi intermedi che, posti sotto il controllo statale perdono la propria autonomia mentre i loro esponenti trovano un canale promozionale per fare carriera. In cambio del business della formazione e del controllo, in regime di monopolio del settore economico della pizza, cioè di una rendita di posizione attribuita per legge, la politica mette il pizzaiolo sotto il tallone dell’esecutivo e lo ricatta con l’arma legislativa. Infatti, il riconoscimento viene attribuito con provvedimento adottato dal Ministro dello sviluppo economico e le modalità ed i requisiti richiesti per l’iscrizione, il funzionamento degli ordini locali e nazionali ed i procedimenti elettorali relativi agli organi di categoria sono adottati con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. Ormai è evidente che la politica, per garantirsi la canalizzazione del consenso, cerca sempre di costituire nuovi ordini sottraendo attività al libero mercato ed occupando quella zona grigia tra corporativismo e liberalizzazione  che si chiama libertà. Se si burocratizza e si contamina anche la pizza, che l’Unesco candida a patrimonio dell’umanità, allora vuol dire che la caccia al voto non ha conosce limiti, neppure quello della decenza. Purtroppo sono in tanti a pensare che, se buona parte della classe politica avesse lo spirito di iniziativa di aprire una pizzeria si guadagnerebbe la riconoscenza di quelli che dice di rappresentare.

 

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