L‘esecutivo, seppur con un approccio omeopatico, sta affrontando in modo organico i problemi del Paese e, sembra, sia riuscito anche a far penetrare un soffio di mercato nell’impermeabile mondo delle professioni. Le quali, invece di assecondare il cambiamento instaurando un nuovo patto con i cittadini pretendono di prosperare sulla sua asimmetria. Così continuano ad acquistare intere pagine di quotidiani, non per spiegare ai cittadini la loro posizione ma per acquisire la benevolenza dei quotidiani ed evitare che venga dato spazio a chi non condivide le loro posizioni. Dopo le consuete giaculatorie contro il mercato, invitano la selvaggina a difendere i cacciatori senza rendersi conto di aver perso la fiducia della collettività che sa benissimo di essere un paravento. Pur di mantenere presunti privilegi e acquisirne di nuovi la categoria forense ha tirato in ballo la Costituzione, che agli avvocati e agli ordini professionali non dedica alcun cenno, per “inventarsi” un ruolo, e si è progressivamente allontanata dalle dinamiche del mercato.
In cambio dell’aggregazione preventiva del consenso lo Stato, rinunciando al suo ruolo super partes, è diventato la cinghia di trasmissione di interessi particolari emanando provvedimenti per costringere cittadini ed imprese ad affrontare costi burocratici per adempimenti al solo scopo di giustificare il pagamento di una parcella e imponendo la presenza dell’avvocato anche avanti il Giudice di Pace mentre per patrocinare avanti gli organismi giurisdizionali internazionali non è necessario alcun titolo di studio (Milosevic era difeso avanti il Tribunale Penale Internazionale de L’Aia da Giovanni Di Stefano che, per sua stessa ammissione, non è in possesso di alcun titolo di studio ne iscritto ad alcun Albo). Il baratto è possibile per la natura di “enti pubblici non economici” attribuita agli Ordini, i quali hanno così svenduta l’autonomia in cambio del monopolio della rappresentanza all’interno della categoria che lo Stato ha ceduto mantenendo, però, l’arma legislativa. Il duplice ruolo di tutori sia degli iscritti che della collettività, consente di contrabbandare la tutela dell’interesse generale con un monopolio privato, con il costante rischio di un uso privato degli interessi pubblici e di copertura pubblica degli interessi privati; un doppio passaporto che in un’economia agricola costituiva un vantaggio ma che oggi rappresenta un ostacolo all’emancipazione del settore.
L’avvocatura, invece di prendere atto dell’assimilazione dell’esercizio professionale all’attività d’impresa e di valorizzare il suo ruolo privato chiede le siano affidati compiti che lo Stato non riesce a svolgere e si candida ad autenticare atti e accordi matrimoniali e, perfino, ad accollarsi parte dei compiti che i giudici togati non riescono ad espletare, infilandosi sempre più nel tunnel della statalizzazione. La necessità di semplificare e un esecutivo non elettoralmente ricattabile hanno messo in crisi una categoria che non si è accorta che il contesto era, intanto, cambiato e che, anzi, spegne il microfono a chi indica percorsi diversi da quelli che assicurano ai vertici l’inamovibilità.
Allo stato, per uscire dal vicolo cieco, è necessario rompere il modello consociativo risolvendo la questione di fondo: se gli ordini debbano essere espressione dell’autonomia della società civile dal potere politico svincolata da rapporti con il governo, o uno strumento speciale dell’esecutivo e, quindi, sotto la tutela dello Stato. Questa potrebbe essere l’unica terapia in grado di rilanciare gli ordini in generale e quello forense in particolare. L’incremento del numero di notai e farmacisti o la concessione di qualche privativa in più rinvia, lenisce il dolore ma non tocca la radice, non spezza il meccanismo che consente il baratto consenso/esclusive e consente le periodiche contrattazioni. Benvenuto è il vento che libera il grano dalle locuste ma serve anche chiudere le finestre (decreti attuativi, deleghe ai codici deontologici, rivio a Convenzioni, Trattati, etc.) per impedirne il ritorno.