Invece, di ridurre il numero ed i poteri delle categorie, se ne dilata la consistenza incrementando il clientelismo e lo sviluppo della base associativa che si traduce in un parallelo aumento della loro capacità di influenzare e condizionare la politica: il delegato ha più potere del delegante anche se questo detiene sempre l’arma legislativa. Il 19 dicembre scorso la Commissione attività produttive della Camera ha approvato, col pieno e trasversale accordo di tutte le parti politiche, la legge che attribuisce il riconoscimento giuridico a 40 (ma ce ne sono almeno altre 200 in attesa) associazioni di professionisti non regolamentati in ordini o collegi riducendo ancor di più la già esigua “zona grigia tra corporativismo e liberalizzazione” nel tentativo di professionalizzare tutte le attività mediante la costituzione di nuovi ordini per non lasciare attività al libero mercato”. Così realtà molto diverse tra loro (musicoterapeuti, grafologi, kinesiologi), hanno ottenuto il bollo pubblico e con esso il diritto di rilasciare attestati di professionalità ai propri iscritti e di gestire in regime di monopolio il corrispondente settore professionale non per migliorare la qualità delle prestazioni e l’efficienza del sistema ma per fissare basi di partenza per future occupazioni ed avere in concessione una fascia di territorio, recintarla ed escludere tutti gli altri definendoli abusivi. Il riconoscimento giuridico ha consentito di aggirare il divieto dell’Antitrust all’istituzione di nuovi ordini e riproposto la teoria dei due forni di democristiana memoria: da una parte gli ordini, dall’altra le associazioni riconosciute ed in mezzo la politica pronta a creare apparati e strumenti di canalizzazione del consenso per poter poi passare all’incasso elettorale. Dietro il dichiarato obiettivo di tutelare “l’interesse pubblico e garantire la professionalità” c’è la ricerca di una legittimazione e la volontà di fare business: e questo è comprensibile. Meno comprensibile è quando lo Stato invece di difendere gli interessi generali si fa portavoce di interessi particolari, anche minoritari, purché organizzati. Allora a pagare è solo e sempre il cittadino che sa di essere un numero da gettare nell’urna elettorale e un pretesto che le istituzioni usano per moralizzare scelte immorali. Di fronte ad un’innovazione tecnologica che distrugge vecchi lavori e ne crea di nuovi con impressionante rapidità chiunque si rende conto che inquadrare ogni nuovo lavoro in una corrispondente figura giuridica, burocratizza le attività ne ostacola la nascita e favorisce la corruzione. Ma la nostra classe politica, scollata dai mutamenti sociali, si perde in tavoli concertativi mentre l’esercito dei nuovi barbari li sta per spazzare via. E stavolta neppure le oche del Campidoglio potranno salvargli la faccia.
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